Camaldoli e San Romualdo

L'eremo e il monastero di Camaldoli

La località di Camaldoli si trova in Toscana, in provincia di Arezzo, nel Comune di Poppi, all’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. Non è chiara l’origine del toponimo, che, secondo alcune ipotesi, potrebbe derivare da Campus Romualdi, o Campus Malduli, o ancora Campus Amabilis.

Questo è l’ultimo eremo in ordine di tempo fondato da San Romualdo prima del ritiro a Valdicastro, in provincia di Ancona, dove morirà qualche tempo più tardi.

Nella Vita Romualdi, scritta da San Pier Damiani qualche anno più tardi la morte del santo, non viene menzionato l’eremo di Camaldoli, poiché a quei tempi doveva trattarsi di una comunità minore. Sarà Rodolfo, quarto priore dell’eremo, a narrarne i dettagli della fondazione nelle sue Consuetudines del 1080. In quest’opera Rodolfo racconta di Teodaldo di Canossa, vescovo di Arezzo, e dell’invito che egli rivolse a San Romualdo a fondare un eremo in quel territorio. Secondo la tradizione il santo ravennate accoglierà l’offerta, giungendo a Camaldoli accompagnato da cinque discepoli.

Da quel momento molti cominceranno a recarsi in visita alla piccola comunità di anacoreti, trovando temporaneo alloggio presso l’hospitium di Fontebono, poco più a valle, che contribuirà a salvaguardare la separazione degli eremiti dal mondo. Successivamente l’hospitium diverrà luogo di preparazione alla vita ascetica, in un rapporto di subordinazione all’eremo, mantenuto a Camaldoli anche in seguito. Fontebono verrà riconosciuto ufficialmente quale cenobio nel 1105.

Presto cresce l’autorevolezza della comunità camaldolese e, con questa, anche il numero di possedimenti. Già a cavallo fra l’ XI e il XII secolo un discreto numero di eremi e cenobi dipendono da Camaldoli. Diverse bolle papali ne definiscono il ruolo. Nasce la Congregatio Camaldulensis Ordinis Sancti Benedicti e Camaldoli diviene un grande centro monastico.

Tuttavia non è esente da periodi di declino, il più drammatico dei quali sarà quello dei provvedimenti napoleonici del 1810, con cui si prevede la soppressione degli ordini religiosi: i monaci sono costretti a lasciare Camaldoli e il patrimonio del monastero viene disperso. Dopo una breve restaurazione, nel 1866 e nel 1867 il Regno d’Italia promulga un paio di leggi con cui viene sancita una nuova soppressione e confisca dei beni monastici.

Solo nel 1873 i monaci possono tornare al governo  dell’eremo e del monastero di Fontebono. Dalle soppressioni ottocentesche la gestione della foresta, che cinge e custodisce questi luoghi, è di competenza dello Stato, e non più dei monaci che nei secoli hanno provveduto a salvaguardarla e a piantumarla con meticolosa e paziente dedizione, contribuendo a connotarla di un significato simbolico di profonda intensità.

 

Le qualità delle piante devono essere d’esempio e d’ispirazione per il monaco, in un intreccio di significati di grande suggestione

Il Sacro Eremo di Camaldoli si trova a monte del monastero, a circa tre chilometri di distanza. Il complesso comprende venti celle, oltre a quella cosiddetta di “San Romualdo”, l’antica biblioteca, la foresteria, il refettorio e la chiesa.

L‘eremo di Camaldoli conserva la cella che, secondo la tradizione, venne costruita e abitata dal fondatore, San Romualdo. Dal Seicento è stata inclusa nell’edificio che ospita la biblioteca. La “cella di San Romualdo” è il prototipo su cui sono state progettate tutte le altre del complesso eremitico di Camaldoli. I vani che la compongono hanno uno sviluppo a spirale, che culmina al centro nella stanza del monaco, ove sono collocati un letto e uno studiolo. L’assetto centripeto della pianta sembra alludere alla disposizione contemplativa dell’anacoreta, come un invito ad una quieta introspezione, in una identificazione precisa di forma e contenuto. La “cella di San Romualdo” è preceduta da un orto, così come tutte le altre celle del complesso, che sorgono al di là del cancello della clausura. 

L’edificio dove è collocata la “cella di San Romualdo” ospita anche la biblioteca dell’eremo, dedicata ad Ambrogio Traversari, grande teologo, umanista e riformatore, nonché priore generale dell’ordine camaldolese nel XIV secolo. Le soppressioni ottocentesche provocarono la dispersione del prezioso patrimonio archivistico e librario, formato da migliaia di libri e centinaia tra codici e incunaboli. La collezione è stata ricostituita a partire dagli anni Quaranta del Novecento e oggi conta circa cinquecento volumi

Di fronte all’edificio che ospita la biblioteca e la “cella di San Romualdo” è posta la chiesa dell’eremo, dedicata a S. Salvatore. Il primo oratorio venne realizzato in questo luogo al tempo del fondatore San Romualdo. L’attuale costruzione è il risultato di diversi interventi, avvenuti dalla riedificazione e consacrazione del 1220, fino agli inizi del XVII secolo, momento in cui la facciata attuale viene addossata alla precedente. Due torri laterali ne inquadrano il fronte, su cui campeggia al centro la statua di Cristo, sormontata dallo stemma dell’ordine e affiancata da quelle di San Romualdo e San Benedetto.

L’edificio a navata unica è attraversato da un transetto adiacente all’entrata. L’allestimento barocco dell’interno risale al Seicento, quando venne realizzata anche la monumentale e articolata cancellata in legno. Numerose sono le opere che si conservano all’interno della chiesa, il cui soggetto ricorrente è chiaramente San Romualdo e le vicende di cui è stato protagonista. Spicca fra queste una quattrocentesca terracotta smaltata realizzata da Andrea della Robbia.

Il monastero di Camaldoli, che sorge qualche chilometro a valle dell’eremo, fu interessato da una serie di interventi e assunse l’aspetto attuale a seguito degli ampliamenti realizzati a cavallo fra il Cinquecento e il Seicento.
Il complesso si sviluppa attorno a quattro chiostri. Nei due più antichi – quello di Mandolo, realizzato a cavallo fra il XIII e il XIV secolo, e quello dei Fanciulli, risalente alla metà del XV – sono situati gli ambienti che ospitano la foresteria. Il chiostro più ampio e luminoso è quello cinquecentesco chiamato della Clausura, su cui si aprono le stanze dei monaci. 
In un piccolo cortile, a cui si accede dalla piazza antistante il monastero, è posta la chiesa, dedicata ai Santi Donato e Ilariano. Di fondazione cinquecentesca, è stata ristrutturata nel XVIII secolo a cura di maestranze fiorentine, che hanno modificato la struttura della chiesa, ridimensionando la pianta, e aggiungendo archi, volte, cappelle e un coro. Al suo interno si conservano alcune opere pittoriche, fra cui spiccano le sette tavole realizzate da Giorgio Vasari tra gli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento. 

Il monastero di Camaldoli è noto ancora oggi per la sua farmacia, unica persistenza che rimane dell’ospedale fondato nel XI secolo per dare assistenza alle comunità del luogo, e chiuso definitivamente nel 1810.
Nella farmacia camaldolese venivano prodotti i medicamenti necessari alla cura dei pazienti. L’attuale struttura risale al Cinquecento, gli arredamenti al Seicento, così come parte dei vasi in ceramica e vetro qui custoditi. Adiacente alla bottega, si conserva il laboratorio e parte degli strumenti in uso, nonché la biblioteca della farmacia, composta di circa duecento volumi, con trattati di medicina e chirurgia, erbari e non solo, redatti a partire dal Seicento.